Il 15 marzo 2022 è stata depositata la sentenza n. 72/2022 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato sull’art. 76 del codice del Terzo settore (dlgs n. 117/2017) in merito ai contributi, riferiti in particolar modo alle ambulanze, riservati alle organizzazioni di volontariato.
Nella stessa pronuncia la Corte costituzionale ha espressamente sottolineato come il sistema degli enti del Terzo settore (Ets) sia espressione di un pluralismo sociale che affonda le sue radici nei principi fondamentali della Costituzione e le attività di interesse generale svolte senza fini di lucro da questi enti realizzano anche “una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica”.
Nel giungere alla conclusione di non ritenere fondate le questioni sollevate intorno all’art. 76, la stessa Corte ha auspicato un prossimo intervento del legislatore volto a rendere meno rigido “il filtro selettivo” previsto dalla disposizione, “in modo da permettere l’accesso alle relative risorse anche a tutti quegli Ets sulla cui azione – per disposizione normativa, come nel caso delle associazioni di promozione sociale, o per la concreta scelta organizzativa dell’ente di avvalersi di un significativo numero di volontari rispetto a quello dei dipendenti – maggiormente si riflette la portata generale dell’art. 17, comma 3, cod. terzo settore, per cui al volontario possono essere rimborsate soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata”.
Vediamo, in dettaglio, il contenuto della pronuncia.
Le questioni sollevate dal Consiglio di Stato
Le questioni di legittimità sono state sollevate dal Consiglio di Stato in merito al disposto dell’art. 76 dlgs n. 117/2017, nella parte in cui riserva alle organizzazioni di volontariato i contributi per l’acquisto di autoambulanze, di autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, escludendo gli altri enti del Terzo settore svolgenti le medesime attività di interesse generale.
Il Consiglio di Stato in particolare è stato chiamato a decidere l’appello proposto dalla Fondazione Catis, attiva nel settore del soccorso con autoambulanze, nei confronti della sentenza che ha parzialmente rigettato il ricorso avverso sia il decreto ministeriale recante le modalità di attuazione dell’art. 76, sia le linee guida del procedimento per l’erogazione dei contributi da questo previsti con riferimento all’annualità 2017; gli atti impugnati l’avrebbero infatti esclusa, al pari degli altri Ets non aventi la struttura tipica delle organizzazioni di volontariato, dalle provvidenze economiche per l’acquisto di autoambulanze e di beni strumentali da adibire all’attività istituzionale.
La sentenza della Corte costituzionale
Con la sentenza in questione la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni sollevate dal Consiglio di Stato.
In particolare, secondo la Corte sussiste una “definita linea di demarcazione all’interno della pur unitaria categoria degli Ets: è ben vero che quelli che scelgono di svolgere attività economica – accettando i correlati vincoli, primo dei quali la rinuncia alla massimizzazione del profitto – possono essere considerati operatori di un “mercato qualificato”, quello della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro. Tuttavia, rimane fermo che tali soggetti hanno la possibilità di ricevere un corrispettivo per il servizio reso e quindi, anche in tal modo, procurarsi le risorse, cui fa riferimento la norma censurata, necessarie all’acquisto degli automezzi e dei beni strumentali al sostegno delle attività di interesse generale. Possibilità che invece è preclusa […] alle Odv”.
Inoltre, in merito alla presenza di lavoratori dipendenti nell’organizzazione dell’ente, secondo la Corte costituzionale tale profilo risulta “del tutto neutrale rispetto all’acquisto di beni strumentali allo svolgimento dell’attività di utilità sociale dell’ente”.
Sul punto, il Consiglio di Stato aveva difatti ritenuto che la presenza di lavoratori dipendenti non si porrebbe in termini di alternatività e di contrapposizione poiché, invece, la relativa disciplina contenuta nel dlgs n. 117/2017 evidenzierebbe un forte avvicinamento tra gli enti, tanto da darsi in concreto il caso “di ODV e ONLUS con l’identica struttura organizzativa costituita da metà lavoratori dipendenti e metà operatori volontari”.
Ma secondo la Corte costituzionale tale argomentazione non risulta del tutto corretta, dato che alle organizzazioni di volontariato è normativamente imposta, come scelta non derogabile, una specifica proporzione interna: difatti l’art. 33, comma 1 dlgs n. 117/2017 prescrive chiaramente (dopo aver stabilito che possono sì assumere lavoratori dipendenti, ma solo entro precisi limiti di carattere “qualitativo”, cioè occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta), che “in ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari”.
Da ultimo, la Corte costituzionale rileva che, sebbene il codice del Terzo settore abbia svolto senz’altro una funzione unificante, diretta anche a superare le precedenti frammentazioni e sovrapposizioni, ciò non ha comportato un’indistinta omologazione dei diversi enti del Terzo settore: “all’interno del perimetro legale di questa definizione, infatti, sono rimaste in vita specifiche e diverse caratterizzazioni dei modelli organizzativi, al punto che sono gli enti nella loro autonomia a individuare, variandola se necessario, quella che meglio consente, secondo la storia e l’identità di ciascuno, il raggiungimento dei propri fini istituzionali”.
Permangono, infatti, differenze anche nei regimi di sostegno pubblico. La necessaria prevalenza della componente volontaristica nella struttura delle organizzazioni di volontariato determina un vincolo particolarmente stringente al mero rimborso delle spese, preordinato a esaltare la gratuità che connota l’attività del volontario. Il che preclude la possibilità di ottenere dallo svolgimento dell’attività margini positivi da destinare all’incremento dell’attività stessa. Diversamente dalle imprese sociali, che possono invece percepire forme di corrispettivo dai destinatari delle prestazioni rese. Pertanto, gli enti che strutturalmente sono caratterizzati in misura prevalente da volontari potrebbero essere esposti al rischio di non poter finanziare l’acquisto o il rinnovo di beni, come quelli considerati nella norma censurata, ma “risulterebbe paradossale penalizzare proprio gli enti che strutturalmente sono caratterizzati in misura prevalente da volontari, a causa del limite del mero rimborso delle spese”.
Dunque, secondo la Corte, non appare irragionevole, né discriminatorio, che il contributo oggetto dell’art. 76 dlgs n. 117/2017 sia accessibile solo a Ets caratterizzati dal vincolo normativo alla prevalenza dei volontari e dal connesso principio di gratuità, con esclusione degli altri enti per i quali tale previsione non sussiste e che quindi possono pattuire remunerazioni con cui autonomamente finanziare l’acquisto o il rinnovo dei beni considerati nell’art. 76 citato.
Fonte: Chiara Meoli – Cantiere Terzo Settore